Alfredo Ormando, era nato a San Cataldo, in provincia di Caltanissetta, il 15 dicembre del 1958, da padre e madre analfabeti, operai di origini contadine, in una famiglia di otto figli, in condizioni economiche assai modeste se non disagiate. Orfano di padre, nella sua irrequieta fanciullezza e adolescenza non ha mai seguito studi regolari. Rinchiuso, ancora minorenne, in un centro di rieducazione, consegue la licenza media a vent'anni come privatista, la maturità magistrale nel 1993 all'età di 35 anni.
Frattanto sperimenta la precarietà e la disoccupazione, trovandosi più volte disperatamente in mezzo ad una strada.
Trascorre due anni in seminario, in preda a una crisi mistica, esperienza dopo la quale matura una diversa concezione del mondo.
Coltiva, però, la passione per la scrittura. Che ben presto si trasforma nell'obiettivo della sua esistenza: rendere tramite i suoi scritti emozioni e contraddizioni di tutto ciò che lo circonda.
Le case editrici, tuttavia, rifiutano ostinatamente di pubblicare i suoi romanzi (una Trilogia autobiografica, composta da Il Dubbio, L'Escluso, e Sotto il cielo d'Urano), le fiabe, i racconti.
Con grandi sacrifici economici e solo grazie all'aiuto della madre ultraottantenne, che gode di una pensione sociale, Ormando pubblica, a sue spese, nel 1995, il romanzo breve Il Fratacchione e, nel '97, cinque dei suoi racconti in una rivista da lui creata dal titolo I Miserabili.
Ancora nell'ottobre del '97, il non aver superato per la seconda volta l'esame di latino scritto, ultima materia da dare per conseguire la laurea in Lettere – che gli verrà poi conferita postuma alla memoria presso la Facoltà di Scienze della Formazione di Palermo – con il pregiudicare, sia pure in maniera non irreparabile, il raggiungimento di un obiettivo ritenuto importante, il conseguimento di un dottorato, che avrebbe potuto riscattarlo dai tanti fallimenti, può aver costituito uno dei fattori scatenanti del sopravvento di un ennesimo stato depressivo, condizione cui era soggetto, e da cui, questa volta, non sarebbe più uscito.
Alfredo Ormando si sente un fallito, come uomo e come scrittore.
Nel dicembre 1997 indirizza questa lettera a un amico di Reggio Emilia:
Palermo, Natale 1997
Caro Adriano, quest'anno non sento più il Natale, mi è indifferente come tutte le cose; non c'è nulla che riesca a richiamarmi alla vita.
I miei preparativi per il suicidio procedono inesorabilmente; sento che questo è il mio destino, l'ho sempre saputo e mai accettato, ma questo destino tragico è là ad aspettarmi con una certosina pazienza che ha dell'incredibile. Non sono riuscito a sottrarmi a quest'idea di morte, sento che non posso evitarlo, tantomeno far finta di vivere e progettare un futuro che non avrò; il mio futuro non sarà altro che la prosecuzione del presente.
Vivo con la consapevolezza di chi sta per lasciare la vita terrena e ciò non mi fa orrore, anzi!, non vedo l'ora di porre fine ai miei giorni; penseranno che sia un pazzo perché ho deciso Piazza San Pietro per darmi fuoco, mentre potevo farlo anche a Palermo.
Spero che capiranno il messaggio che voglio dare; è una forma di protesta contro la Chiesa che demonizza l'omosessualità, demonizzando nel contempo la natura, perché l'omosessualità è sua figlia.
Alfredo
E, ancora, in altre epistole:
"Voglio morire, non sopporto di essere sempre emarginato"
"Chiedo scusa per essere venuto al mondo, per aver appestato l'aria che voi respirate con il mio venefico respiro, per aver osato di pensare e di agire da uomo, per non aver accettato una diversità che non sentivo, per aver considerato l'omosessualità una sessualità naturale, per essermi sentito uguale agli eterosessuali e secondo a nessuno, per aver ambito a diventare uno scrittore, per aver sognato, per aver riso"
"Il mostro se ne va per non recarvi offesa, per non farvi più vergognare con la sua ignobile presenza, per non farvi schifare e voltare le spalle quando lo incontrate per strada".
"Non riuscivo più ad ingannare la mia biologica voglia di vivere, a farmi una ragione sulla mia emarginazione, sulla mia sconfinata solitudine".
"Non permettete che io abbia una lacrimata tomba, che io diventi un appestato anche da morto. Se la benzina non avrà fatto il suo dovere, riducetemi in cenere, crematemi e spargete le mie ceneri nella campagna romana: vorrei essere utile almeno come concime".
"Pensa, con un gesto solo mi libererò sempre di voi tutti .... in questi 39 anni non ho mai rappresentato nulla, anzi vi vergognavate di me ...non ho paura della morte ... è un ritorno nella mia vera casa ...".
Nei primi di gennaio del 1998 Ormando sente di essere arrivato all'ultima stazione della sua dolorosa via crucis.
Quel gelido 13 gennaio del '98, ricordiamo, Ormando ha compiuto da poco 39 anni: precisamente.
Sua madre lo aveva sentito la sera prima. Alfredo le aveva telefonato dicendo che si sarebbe recato a Roma per motivi di studio. Gaetano Mangano, un affittacamere di Palermo, l'aveva visto due giorni prima e Alfredo gli aveva chiesto in prestito centomila lire.
Una donna che pulisce i gabinetti a piazza San Pietro vede Ormando mentre si versa addosso la benzina e poi corre avvolto dalle fiamme verso il centro della piazza.
Gli agenti di polizia lo soccorrono immediatamente e uno di loro tenta di spegnere le fiamme usando la propria giacca. Prima di perdere coscienza Alfredo moromora: –Non sono neanche stato capace di morire–.
Trasportato all'ospedale Sant'Eugenio, dove muore dopo dieci giorni di atroce agonia.
Le lettere che si era portato appresso non vengono pubblicate e la sala stampa del Vaticano rilascia un comunicato stampa, dichiarando che Alfredo Ormando non si è suicidato a causa della sua omosessualità o in protesta contro la chiesa cattolica, ma perché ha seri problemi in famiglia.
Ma, subito dopo la sua morte l'ANSA riceve le sue lettere con la posta e ne pubblica una parte.